Salario minimo garantito e lavoro equo per una giustizia sociale

Continuano le incertezze sul salario minimo in Italia: necessaria la ricerca di un approccio alternativo alla tutela dei lavoratori attraverso pratiche di giustizia sociale e lavoro equo.

È ancora incerto se l’Italia adotterà mai un salario minimo. Mentre la maggioranza dei paesi dell’Unione Europea (21 su 27) ha già implementato questa misura, l’Italia ha scelto un approccio diverso rinunciando a stabilire un livello salariale minimo e optando per una riforma alternativa.

Oltre all’Italia, altri paesi dell’UE come Danimarca, Cipro, Austria, Finlandia e Svezia non hanno un salario minimo garantito. Invece, le retribuzioni in questi paesi sono disciplinate tramite contratti collettivi nazionali. In Italia, la riforma proposta a partire dal 2023 si basa sul potenziamento dei contratti collettivi nazionali come meccanismo per uniformare gli stipendi nel paese, come dichiarato dal Premier Giorgia Meloni.

Attualmente, in Italia non esiste un salario minimo, il che rappresenta una situazione che coinvolge almeno 4 milioni di lavoratori in difficoltà economica.

Tuttavia, il dibattito sulla necessità di introdurre un salario minimo nel paese rimane aperto e coinvolge diverse parti interessate, con argomenti che spaziano dalla protezione dei lavoratori, all’individuazione di forme di giustizia sociale, fino alla possibile creazione di nuovi posti di lavoro.

L’importanza del salario minimo garantito per i lavoratori e limpatto del lavoro equo sulla società

Il salario minimo rappresenta il livello base di retribuzione per i lavoratori di diverse categorie, stabilito per legge durante un determinato periodo di tempo. È un limite salariale che il datore di lavoro non può superare, nonostante gli accordi collettivi o i contratti privati. In Italia, da diversi anni si discute sulla scelta di affidare la determinazione del salario minimo alla legge anziché alla negoziazione collettiva, come avviene attualmente.

L’effetto di uno stipendio minimo per i lavoratori è stato oggetto di numerosi studi nell’analisi economica. Nel passato, prevaleva lo scetticismo, basato sull’idea che un aumento del costo del lavoro avrebbe inevitabilmente portato a una riduzione dell’occupazione. Tuttavia, negli ultimi anni, si è assistito a una maggiore apertura nei confronti di questa questione.

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In particolare, è emerso che quando i datori di lavoro hanno un potere di monopsonio, cioè pagano salari che non riflettono adeguatamente il valore prodotto dai lavoratori, l’istituzione di un salario minimo avrebbe l’effetto di ripristinare un livello di compensazione che si osserverebbe in un mercato competitivo. Questo significa che un salario minimo potrebbe non necessariamente causare un aumento della disoccupazione, ma piuttosto garantire un adeguato livello di retribuzione per i lavoratori.

Tuttavia, nonostante ci siano state numerose proposte per disciplinare il salario minimo, nessuna è stata ancora approvata né ha trovato un accordo tra le parti sociali.

Al contrario, il Parlamento ha votato una mozione che respinge l’idea del salario minimo, proponendo invece misure e alternative in linea con la Direttiva UE sul tema. Il 15 marzo 2023, durante un Question Time alla Camera, il Premier Giorgia Meloni ha escluso qualsiasi possibilità di introdurre un salario minimo in Italia durante il suo governo. L’impulso a fare progressi nella fissazione di un equo compenso e nella protezione dei lavoratori in Italia, come in altre parti d’Europa, era stato dato dall’UE nell’estate del 2022, attraverso la direttiva del 14 settembre 2022 sul salario minimo. In tale documento, l’Europa ha chiesto agli Stati membri di garantire entro il 15 novembre 2024 salari adeguati per i lavoratori.

Stato attuale delle leggi sul salario minimo

In Italia, attualmente non esiste una legge nazionale o regionale sul salario minimo. Nonostante ci siano state proposte normative per tutelare i lavoratori, come la recente norma sulla parità salariale, il fenomeno dei “working poors” non è regolamentato. Sebbene siano stati fatti alcuni tentativi in passato, come nel caso del Jobs Act, in cui era previsto il salario minimo ma poi escluso dai decreti attuativi, la legge non è mai stata effettivamente implementata.

Al momento, in generale, in Italia non esiste una forma di protezione sociale a lungo termine per le fasce sociali che vivono al di sotto della soglia di povertà. Dopo un certo periodo di copertura tramite gli ammortizzatori sociali, queste persone e famiglie non dispongono di alcun sostegno, ad eccezione del reddito di cittadinanza, che è destinato a essere eliminato a partire dal 1° gennaio 2024, come stabilito dalla recente Legge di Bilancio 2023.

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In assenza di una legge nazionale sul salario minimo, tutto si basa sulla contrattazione collettiva, in cui i sindacati hanno un’enorme influenza, soprattutto quelli con un numero elevato di iscritti. Sebbene la giurisprudenza tenda a stabilire dei minimi tabellari per tutte le categorie di lavoratori, sia iscritti che non iscritti ai sindacati, di fatto non esiste una legge che tuteli tali dipendenti. L’attuale governo intende mantenere questo assetto, eventualmente introducendo ulteriori protezioni.

Non è ancora chiaro come funzionerà la contrattazione in futuro. Attualmente, la concertazione stabilisce le regole per il salario minimo, ma manca il riconoscimento di questa pratica tramite una legge ordinaria. Inoltre, in Italia, un contratto collettivo di lavoro applicabile ai contratti individuali presenta alcune limitazioni:

  • Non è obbligatorio: il datore di lavoro può decidere di non applicare alcun contratto collettivo, optando invece per un contratto aziendale personalizzato.
  • Gli ambiti di applicazione dei contratti collettivi talvolta si sovrappongono e il datore di lavoro può scegliere lo strumento contrattuale che ritiene più conveniente.
  • Non è necessario ottenere il consenso del sindacato, quindi l’azienda può prendere una decisione unilaterale.
  • Due unità produttive della stessa azienda possono avere contratti collettivi diversi.

In questo modo, una parte dei lavoratori dipendenti rischia di non essere tutelata da un contratto collettivo e, di conseguenza, rimane senza un salario minimo garantito.

Qual è il salario minimo in Italia e come le imprese possono sostenere pratiche di lavoro eque

Il Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ha ribadito il rifiuto del salario minimo in Italia durante il Question Time alla Camera dei Deputati il 15 marzo 2023. Secondo il Premier, il salario minimo legale potrebbe sostituire le tutele già garantite ai lavoratori anziché aggiungerne di nuove. Questo paradossalmente potrebbe creare condizioni peggiori per molti lavoratori, favorendo le grandi concentrazioni economiche che sarebbero interessate a ridurre i diritti dei lavoratori.

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Nel 2022, il Ministero del Lavoro aveva individuato 11 progetti da finanziare nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza dell’Italia, tra cui l’istituzione di un salario minimo orario. Tuttavia, il cambio di governo ha previsto alternative per raggiungere gli obiettivi del PNRR. L’attuale governo mira a modulare e potenziare la contrattazione collettiva, prevedendo anche una detassazione dei rinnovi dei contratti collettivi nazionali. Si prevede di accompagnare questo meccanismo con premi ai lavoratori in base ai risultati raggiunti e incentivi fiscali per le nuove assunzioni, come stabilito dalla Legge di Bilancio 2023.

In Italia, esistono pensioni minime per legge, ma non sono previste leggi nazionali per stabilire una soglia salariale, lasciando tale compito alla contrattazione tra le parti sociali. Secondo le stime del CNEL, quasi tutti i lavoratori (98%) e le aziende (99%) in Italia sono coperti dalla contrattazione collettiva. Tuttavia, nonostante ogni contratto abbia livelli minimi di retribuzione (sebbene molto inferiori alla media europea), non si può considerare che in Italia sia già in vigore un salario minimo, a causa di diversi fattori:

  • La stipula di contratti collettivi non è obbligatoria in Italia. Ci sono imprese o tipi di contratti di lavoro individuali in cui non viene applicato alcun contratto collettivo e non sono presenti limiti retributivi.
  • Spesso, nonostante l’esistenza di un contratto collettivo di riferimento, questo viene ignorato. Ad esempio, più della metà dei contratti collettivi registrati nell’archivio del CNEL non viene utilizzata dai datori di lavoro nelle denunce mensili all’INPS.
  • I salari fissati dalla contrattazione collettiva sono comunque troppo bassi rispetto alla media europea. Nel 2021, il salario lordo annuale medio di un lavoratore dipendente a tempo pieno in Italia era di 27.404 euro, mentre nella zona euro era di 37.382 euro.

A causa di questa situazione, in Italia è emerso il fenomeno dei “working poors“, lavoratori il cui reddito è inferiore alla soglia di povertà relativa, nonostante siano regolarmente occupati. Secondo un rapporto recente, l’11,7% dei lavoratori dipendenti in Italia riceve un salario inferiore ai minimi contrattuali. Il salario medio di un lavoratore in Italia è di poco superiore ai 21.000 euro annui, ma i salari fissati dalla contrattazione collettiva sono ancora inferiori alla media europea.

Tuttavia, non ci sono ancora certezze su una riforma sugli stipendi in Italia nei prossimi mesi del 2023, e la situazione attuale rimane confusa.

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Autore
Valerio Mainolfi
Valerio Mainolfi
Specializzato in comunicazione e marketing, amante della scrittura creativa, navigo costantemente tra ambizioni future e sfide del nostro tempo, agganciato all’evoluzione illogica del mio essere.