Ticket licenziamento 2023, importo contributo e quando deve essere pagato

Scopri tutto ciò che c'è da sapere sul Ticket licenziamento 2023: importo del contributo, beneficiari e quando viene erogato, anche in caso di lavoro part time.

Il ticket di licenziamento 2023 è una tassa che il datore di lavoro deve pagare all’INPS quando viene concluso un rapporto di lavoro a tempo indeterminato che dà diritto alla NASpI. L’ammontare del ticket viene adeguato ogni anno sulla base dell’inflazione, poiché è correlato alla prestazione di disoccupazione. Tuttavia, non è richiesto il pagamento del ticket per i contratti a termine, per i quali il datore di lavoro deve invece pagare il contributo ASpI (ora NASpI), come verrà spiegato in seguito.

Con la circolare n. 14 del 3 febbraio 2023, l’INPS ha aggiornato l’importo massimo della NASpI per il 2023 (1.470,99 euro), che a sua volta influisce sull’importo del contributo NASpI dovuto dai datori di lavoro per il 2023. In base a questa circolare, il ticket di licenziamento per il 2023 ammonta a 603,10 euro all’anno (corrispondente al 41% dell’importo massimo della NASpI), per un massimo di 1809,3 euro per un triennio di anzianità.

Comprendere il ticket di licenziamento 2023: Informazioni chiave su quando deve essere erogato e sugli importi dei contributi

Il contributo serve a finanziare l’indennità di disoccupazione e a scoraggiare i licenziamenti. Il datore di lavoro è responsabile del pagamento del contributo, insieme ad altri contributi previdenziali e assistenziali, utilizzando il modello F24, entro il 16 del mese successivo alla cessazione del rapporto di lavoro. Anche se il dipendente cessato non richiede la NASPI, il datore di lavoro è comunque obbligato a versare il contributo.

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Il ticket di licenziamento, introdotto con l’articolo 2, commi 31-35, della legge n. 92/2012, deve essere pagato in tutti i casi di cessazione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato che potenzialmente danno diritto all’indennità di disoccupazione per il lavoratore cessato. Questo contributo non è dovuto solo per i licenziamenti (giustificati per motivi oggettivi, soggettivi o per giusta causa), ma anche in caso di:

  • dimissioni per giusta causa;
  • dimissioni durante il periodo di tutela per la maternità;
  • risoluzione consensuale a seguito della conciliazione obbligatoria presso la Direzione Territoriale del Lavoro quando il datore di lavoro vuole licenziare per giustificato motivo oggettivo;
  • risoluzione consensuale del rapporto a seguito del rifiuto del lavoratore al trasferimento in un’altra unità produttiva distante più di 50 km dalla sua residenza o non raggiungibile in media in più di 80 minuti con i mezzi di trasporto pubblico;
  • per la mancata trasformazione dell’apprendistato in un contratto a tempo indeterminato.

Il contributo del ticket licenziamento deve essere versato dal datore di lavoro indipendentemente dalla richiesta del lavoratore di ricevere l’indennità di disoccupazione. Inoltre, il contributo è dovuto anche in caso di abbandono del lavoro da parte del lavoratore e di licenziamento per cessazione dell’attività dell’azienda. La quantità del contributo è determinata dal 41% del massimale mensile di disoccupazione, che è comunicato ogni anno attraverso una circolare dell’INPS.

Questo importo viene poi moltiplicato per ogni 12 mesi di anzianità aziendale del lavoratore nei tre anni precedenti alla cessazione del rapporto di lavoro. Per l’anno in corso, l’importo massimo di disoccupazione è di 1.470,99 euro, quindi il contributo per ogni 12 mesi di anzianità aziendale è di 603,10 euro. Se l’anzianità aziendale è pari o superiore a 36 mesi, il contributo totale sarà di 1.809,30 euro.

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L’ultimo importo mensile sarà poi moltiplicato per il numero di mesi in cui il lavoratore ha prestato servizio, considerando come mese completo quello in cui ha lavorato per almeno 15 giorni.

Cosa succede in caso di lavoro part-time e/o rapporto di lavoro inferiore a 12 mesi

È importante sottolineare che il contributo licenziamento è dovuto in misura piena anche per i lavoratori part-time, senza alcun riproporzionamento in base alla percentuale di lavoro svolto. Se invece la durata del rapporto di lavoro è inferiore all’anno, l’importo del contributo verrà riproporzionato in base ai mesi di lavoro effettuati.

Il contributo NASPI, che in passato era noto come ASpI, è un contributo aggiuntivo previsto per i contratti a tempo determinato. Il datore di lavoro deve versare un’ulteriore contribuzione previdenziale pari all’1.4% per il personale a tempo determinato. Questo contributo è utilizzato per finanziare l’indennità di disoccupazione NASPI del dipendente, il quale non ha diritto al ticket licenziamento alla fine del contratto a termine.

Tuttavia, in caso di conversione a tempo indeterminato del contratto a termine, il datore di lavoro ha diritto agli arretrati del contributo addizionale NASPI fino alla data di conversione.

Nel 2019 è stato introdotto un aumento del Contributo Addizionale ASPI dello 0.50% per ogni rinnovo contrattuale del contratto a termine.

Quando il ticket licenziamento non viene erogato

Come già accennato, il contributo addizionale NASpI è dovuto in tutte le situazioni in cui il lavoratore ha il teorico diritto all’indennità NASpI, anche se non la fruisce effettivamente.

Tuttavia, ci sono alcune situazioni in cui il ticket di licenziamento NON è dovuto. Ad esempio, nel caso di:

  • dimissioni volontarie del lavoratore, di cessazione del rapporto di lavoro in applicazione dell’articolo 4 della legge n. 92/2012 “Isopensione”;
  • cessazione del rapporto di lavoro per esodo dei lavoratori anziani concordata a seguito di accordi sindacali;
  • di interruzioni dei rapporti di lavoro afferenti a processi di incentivazione all’esodo che diano luogo alle prestazioni disciplinate dall’articolo 26, comma 9, lett. b), del D.lgs n. 148/2015 e così via.
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Inoltre, il contributo non è dovuto per l’interruzione dei contratti di apprendistato per la qualifica e il diploma professionale, il diploma di istruzione secondaria superiore e il certificato di specializzazione tecnica superiore, né per l’interruzione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato del dipendente già pensionato.

Ci sono anche alcune eccezioni specifiche, come nel caso di licenziamenti effettuati in conseguenza di cambi di appalto ai quali siano succedute assunzioni presso altri datori di lavoro in applicazione delle clausole sociali che garantiscano continuità di occupazione, o di interruzioni di rapporto di lavoro a tempo indeterminato, nel settore delle costruzioni edili, per completamento delle attività e chiusura del cantiere, a condizione che il lavoratore medesimo non possa essere utilizzato nell’ambito dell’organizzazione aziendale.

Infine, non è dovuto il contributo di licenziamento per i licenziamenti per i quali i datori di lavoro siano tenuti al versamento del contributo di ingresso alla procedura di mobilità.

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Valerio Mainolfi
Valerio Mainolfi
Specializzato in comunicazione e marketing, amante della scrittura creativa, navigo costantemente tra ambizioni future e sfide del nostro tempo, agganciato all’evoluzione illogica del mio essere.