Addio pausa caffè, rimani alla scrivania per tutto il tempo: puoi muoverti solo per pranzare o ti licenziano | Trattamento da Corea del Nord

Addio pausa caffè - circuitolavoro.it
Aumentano i casi in cui i lavoratori vengono licenziati per la pausa caffè: quando 5 minuti in più possono costarti il posto di lavoro.
Da alcune settimane si torna a parlare di una questione che spacca il mondo del lavoro: le pause caffè. Un’abitudine comune, quasi un bisogno fisiologico per chiunque lavori, che si tratti di caffè, ginseng o semplice aria fresca. Eppure, non tutti – tra datori di lavoro e colleghi – sembrano tollerare questa parentesi quotidiana.
Potrebbe sembrare una questione da gestire con una ramanzina interna, magari con un richiamo scritto. E invece no: negli ultimi due anni, alcuni di questi casi sono finiti in Cassazione, con tanto di licenziamento ritenuto legittimo. Trattamento da Corea del Nord, verrebbe da dire. E invece no, siamo in Occidente. Anzi, in Italia.
Le pause caffè non sono un problema. Finché non lo diventano
Concedersi una pausa è un diritto sancito dalla legge, oltre che una necessità fisiologica. Staccare per qualche minuto – anche solo per un caffè o una sigaretta – può aiutare concentrazione e rendimento. Ma come spesso accade in Italia, dove l’equilibrio tra libertà e abuso è un concetto labile, il rischio di oltrepassare il limite è dietro l’angolo.
Ma ogni quanto è obbligatorio prendersi una pausa? La legge non impone caffè obbligatori, ma qualcosa di simile sì. Secondo l’art. 8 del D.Lgs. 66/2003, se lavoriamo più di 6 ore al giorno, ci spetta una pausa obbligatoria.
Per quanto riguarda la durata, la legge non entra troppo nel dettaglio. Dice solo che deve essere adeguata. Alcune aziende la pagano, altre no. Anche qui, dipende dagli accordi interni. Ma in linea generale, la pausa non viene retribuita, a meno che non sia scritto nero su bianco nel contratto.
Se ci si approfitta di quel quarto d’ora accordato trasformandolo in mezz’ora, o se le soste diventano sistematiche e non autorizzate, non si parla più di benessere lavorativo ma di inadempienza. E quando questo impatta sulla produttività dell’azienda o del servizio pubblico, può diventare un problema serio. Al punto che alcuni datori di lavoro sono stati costretti a misure drastiche, fino al licenziamento. Non in Corea del Nord, ma in Italia. Dove l’anarchia è spesso più diffusa del caffè stesso. L’ultimo caso avvenuto questo mese ha scosso moltissimi lavoratori.
Il caso del netturbino e le troppe pause bar: licenziamento legittimo
Una delle sentenze più emblematiche arriva dalla Corte di Cassazione con la pronuncia n. 8707 del 2 aprile 2025. Protagonista: un addetto al ritiro porta a porta dei rifiuti urbani, licenziato per essersi concesso troppe pause non autorizzate durante l’orario di lavoro. Il tutto documentato da GPS, testimoni e persino un investigatore privato.
L’uomo era solito fermarsi a lungo in bar dei Comuni in cui prestava servizio, senza alcuna autorizzazione e timbrando comunque regolarmente il foglio presenze. A nulla sono valsi i tentativi di difesa: la Corte ha ritenuto il comportamento reiterato, fraudolento e dannoso per l’immagine del datore di lavoro. Il licenziamento è stato confermato come proporzionato e legittimo.