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Annunci di lavoro: diventa obbligatorio indicare lo stipendio

Le imprese sono obbligate a fornire informazioni chiare riguardanti la retribuzione per la posizione lavorativa offerta sia nell’annuncio di lavoro che durante il primo colloquio, e a garantire parità retributiva indipendentemente dal genere.

Questo è quanto stabilito dalla recente direttiva sulla parità salariale e la trasparenza, che ha ricevuto un ampio sostegno nel Parlamento europeo. La direttiva deve essere adottata formalmente dai paesi membri e inclusa nel loro diritto nazionale entro tre anni.

Cosa sono il divario salariale e il segreto retributivo

Se si esplora LinkedIn, si può notare che la maggior parte degli annunci di lavoro non specifica il salario previsto, e spesso è mal visto chiedere informazioni sulla retribuzione durante un colloquio. Nonostante l’uguaglianza salariale sia sancita dai trattati europei, la sua applicazione è limitata e le donne in Europa guadagnano in media il 13% in meno rispetto agli uomini.

Per combattere questo problema, il Parlamento europeo ha deciso di porre fine alla segretezza dei salari negli annunci di lavoro e di rafforzare il diritto dei lavoratori a ottenere informazioni chiare sulla retribuzione. Questo è stato fatto con l’obiettivo di ridurre il divario salariale di genere nell’Unione europea.

Secondo uno studio dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse), l’introduzione di misure di trasparenza retributiva ha dimostrato di contribuire a ridurre il divario salariale di genere ovunque sia stata applicata. Queste misure sono state definite come uno strumento importante per contrastare la disuguaglianza di genere, in quanto permettono ai dipendenti di comprendere meglio l’esistenza e l’entità del divario salariale.

Cosa dice la direttiva

Entro i prossimi tre anni, le aziende con più di 100 dipendenti dovranno rispettare una direttiva che impone la correzione delle disparità salariali che superano il 5%, senza giustificazioni, e renderle note ai dipendenti. Inoltre, i lavoratori avranno accesso ai dati aggregati per genere sulle retribuzioni e potranno conoscere i criteri utilizzati per definire gli stipendi e gli aumenti, i quali dovranno essere equi per entrambi i sessi.

Le norme prevedono anche la fine del segreto retributivo, obbligando le aziende a rendere pubblica la retribuzione prevista per le posizioni disponibili, direttamente negli annunci di lavoro o durante il primo colloquio. I datori di lavoro non potranno più chiedere informazioni sulle retribuzioni precedenti dei candidati e delle candidate, in modo da evitare che la loro storia salariale influenzi la retribuzione offerta.

Le nazioni che aderiscono al patto saranno tenute a istituire punizioni efficaci, adeguate e deterrenti, come multe, nei confronti dei datori di lavoro che trasgrediscono le norme. I lavoratori e le lavoratrici, d’altra parte, avranno diritto a un risarcimento se le imprese non rispettano le misure per la trasparenza e la parità salariale. In questo scenario, la discriminazione intersezionale e l’omissione di pari diritti per le persone non binarie saranno considerati elementi aggravanti per i datori di lavoro.

Samira Rafaela, del gruppo Renew Europe, ha definito questa legge come progressista, moderna, femminista, liberale e intersezionale. La sua adozione rappresenta il primo passo verso la riduzione delle disparità salariali di genere, dimostrando come le lotte femministe per la parità di genere possano avere un impatto positivo sulla società in generale, inclusi gli uomini.

Chi ha votato a favore e chi si è opposto

La direttiva ha ottenuto un vasto sostegno trasversale sia da parte dei parlamentari progressisti di sinistra, come i Socialisti e Democratici, che da quelli della destra liberale e moderata come il Partito Popolare Europeo, con un sostegno di oltre 400 voti.

Tuttavia, molti parlamentari di destra ed estrema destra hanno votato per respingere la proposta o si sono astenuti, tra cui 6 rappresentanti italiani, come Massimiliano Salini e Alessandra Mussolini di Forza Italia, Carlo Fidanza, Pietro Fiocchi (un imprenditore che gestisce la produzione di munizioni di piccolo calibro) e Chiara Maria Gemma e Denis Nesci, di Fratelli d’Italia.

Valerio Mainolfi

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