Il Superbonus, incentivo statale che ha permesso a molti proprietari di immobili di ristrutturare e migliorare l’efficienza energetica delle loro case, ha portato con sé nuove regole fiscali. Tra queste, spicca la maxi tassazione delle plusvalenze, che prevede un’aliquota del 26% per dieci anni. Tuttavia, questa imposta non colpisce tutti gli immobili ristrutturati. Vediamo in dettaglio chi è esentato e quali sono le condizioni per evitare questa nuova tassa.
Per chi decide di vendere un immobile ristrutturato con il Superbonus prima di dieci anni, è prevista una tassa del 26%. Questa aliquota si applica alle ristrutturazioni realizzate con il Superbonus al 110%, al 90% e al 70%, poiché tali interventi incrementano il valore degli immobili, generando una plusvalenza al momento della vendita. La tassazione si applica solo a determinate situazioni, con alcune eccezioni importanti.
La tassa del 26% non si applica agli immobili adibiti ad abitazione principale, inclusi quelli utilizzati dai familiari. La deroga è valida se l’immobile è stato abitazione principale per la maggior parte dei dieci anni prima della cessione, oppure per il periodo compreso tra l’acquisto (o la costruzione) e la vendita. Inoltre, la tassa non si applica alle seconde case se sono state ereditate o donate, evitando così di colpire trasferimenti non speculativi.
L’obiettivo del governo con questa misura è di individuare e tassare gli interventi speculativi di ristrutturazione e rivendita. Tuttavia, secondo l’Associazione Nazionale Costruttori Edili (Ance), la stretta potrebbe colpire anche chi ha ristrutturato senza intenti speculativi. Di fatto, chi viene coinvolto sarà costretto a “restituire” parte del beneficio ottenuto con il Superbonus al 110%.
La normativa introduce un meccanismo di indeducibilità dei costi di ristrutturazione: per i primi cinque anni è integrale, mentre per i successivi cinque anni è al 50%. Questo implica che, nel calcolo della plusvalenza, non possono essere dedotti integralmente i costi di ristrutturazione agevolati con il Superbonus, aumentando così la base imponibile della tassa del 26%.
L’indeducibilità dei costi non si applica a chi ha detratto i costi del Superbonus in dichiarazione, ma è diretta solo a chi ha usufruito della cessione del credito o dello sconto in fattura. La plusvalenza, inoltre, viene considerata un reddito diverso, separato dai guadagni e dagli stipendi delle persone fisiche, a meno che non sia conseguito da professionisti o imprese.
La tassa del 26% si applica a tutte le tipologie di immobili che hanno beneficiato degli interventi agevolati dal Superbonus, indipendentemente dal fatto che i lavori siano stati effettuati dal proprietario, dal conduttore, dal comodatario, o da un familiare convivente. La tassazione riguarda solo la prima cessione a titolo oneroso entro dieci anni dalla conclusione dei lavori, e non le eventuali successive vendite.
La plusvalenza si genera quando un immobile viene venduto a un prezzo superiore a quello di acquisto. È il guadagno derivante dalla differenza tra il prezzo di vendita e il costo d’acquisto o di costruzione dell’immobile, aumentato di eventuali altri costi inerenti. La tassa del 26% si applica su questa differenza, colpendo il maggior valore acquisito grazie agli interventi di ristrutturazione finanziati con il Superbonus. Visita la nostra pagina dedicata ai bonus famiglia per saperne di più: clicca qui.
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