Licenziamento di massa, chi lavora qui è spacciato: sta per perdere il lavoro | Non c’è nulla che possa fare

lavoratori in protesta

Proteste lavoratori Almaviva

Continuano i licenziamenti, tante aziende italiane costrette a chiudere: questa volta si tratta di una grande realtà 

In Italia il lavoro resta un terreno fragile, oggi più che mai, si è tutti sull’attenti a rischio licenziamenti. Questa crisi non è più silenziosa come l’anno scorso: si fa sentire con l’erosione dei risparmi, le vacanze mancate della gran parte della popolazione, le spiagge vuote, e un clima che non permette divertimenti, ma solo tanti pensieri.

Il tasso di disoccupazione si attesta al 6,5% a maggio 2025, in lieve calo rispetto ai mesi precedenti ma comunque ben al di sopra della media Ocse del 4,9%, a riportare i dati è l’ANSA. A ciò si aggiunge la difficoltà nel trovare un lavoro stabile: a saltare sono anche le grandi aziende, e i licenziamenti lasciano a casa intere famiglie, da nord e sud, senza troppe differenze.

Tanti licenziamenti nel settore tecnologico per via dell’ingresso dell’AI che automatizza molte professioni, ma non è lei il problema contemporaneo dell’Italia, nonostante non si faccia altro che parlare di AI.

Le chiusure avvengono per via dei bilanci che non tornano: troppi i costi delle materie prime, mantenere personale è diventato insostenibile, le paghe sono basse, e le aziende continuano ad abbassare le saracinesche. In questo scenario, emergono non solo i drammi personali dei lavoratori coinvolti, ma anche il peso sociale ed economico dei licenziamenti collettivi sulle infrastrutture e le Regioni.

Licenziamenti in Italia: la piaga silenziosa dell’ultimo anno

Famiglie, territori, microeconomie locali: stanno soffrendo tutti, ma c’è bisogno di una riforma economica in grado di dar spazio alle province, di far riemergere con nuove infrastrutture anche tutti i piccoli borghi italiani, e le zone dove al momento si vive solo ed esclusivamente di turismo, perché non c’è imprenditoria. È in questo contesto che si inserisce la conferma dell’addio al lavoro per i 480 dipendenti di Almaviva di tutte le sedi d’Italia, con la massima concentrazione tra Palermo e Catania.

Dopo mesi di trattative con i sindacati è arrivato l’annuncio ufficiale a fine luglio: l’azienda chiude. Una ferita non solo per le famiglie, ma per le città più a sud che dovranno adoperarsi a produrre nuovi posti di lavoro. Molti dei dipendenti, anche con diverse competenze maturate negli anni, faticano a immaginare una ricollocazione rapida in un mercato che non offre grandi opportunità. Altri temono di dover abbandonare la propria terra in cerca di nuove prospettive, alimentando il fenomeno della migrazione giovanile e lavorativa dal Sud verso il Nord Italia o l’estero.

call center
Call center, lavoratori licenziati (pexels) .www.circuitolavoro.it

Almaviva chiude definitivamente i battenti: ora tocca alla Regione

Almaviva fu una delle prime aziende di call center ad aprire in Sicilia, parliamo degli ormai lontani primi anni duemila. Fu un punto di riferimento importante per i più giovani che popolavano le città siciliane senza avere sbocchi. Il problema arrivò con la gestione dei primi contratti: il lavoro da call center si rivelò poco proficuo, con contratti poco sicuri e paghe bassissime.

Il lavoro divenne appetibile per i primi anni ma poi iniziò a essere sostituito con assistenze clienti differenti, che ultimamente sono diventati veri e propri Chatbot, e con altre aziende che si sono spostate in Albania, dove il costo del lavoro è più basso. L’idea del call center per la sanità pubblica è un punto interrogativo, il progetto presentato come cerotto dovrebbe essere finanziato da Stato e Regione per assumere circa 130 dipendenti. Non una risoluzione alla chiusura, e neanche un modo per garantire un posto ai lavoratori che sono stati licenziati. Al momento, oltre al fallimento aziendale, non ci sono novità.