“Non c’è bisogno di un…”: il datore di lavoro l’ha licenziato in tronco sulla chat WhatsApp | Trattato come un animale

Un licenziamento alquanto discutibile su WhatsApp - circuitolavoro.it
Il licenziamento su WhatsApp è valido in molti casi, specialmente se ha motivo oggettivo o soggettivo, impugnativa: il caso che fa discutere.
Sembra una battuta, ma è successo davvero, e non una volta: un licenziamento comunicato con quattro messaggi su WhatsApp, tra sarcasmo e insulti nemmeno troppo velati. E il tutto corredato da una minaccia finale: “Guarda che non finisce mica qui!”. No, infatti: finisce in tribunale.
Quello che a prima vista potrebbe sembrare solo uno sfogo da chat è in realtà un esempio perfetto di licenziamento considerato sulla pelle del dipendente alquanto illegittimo – e c’è chi, giustamente, ha trasformato questo screenshot in una piccola lezione di diritto del lavoro. Lo ha fatto l’avvocato Roberto Arcella, elaborando graficamente tutti i passaggi della vicenda con tanto di riferimenti legali. Eppure, c’è un filo sottile, perché sì, il datore di lavoro può licenziarti su WhatsApp, ma non sempre.
L’immagine, diventata virale grazie al convegno giuridico di Capri del 2017, non documenta un caso giudiziario reale, ma è stata usata dall’avvocato Roberto Arcella come provocazione per evidenziare le distorsioni più grottesche del mondo del lavoro. Accanto alla conversazione, infatti, è stato inserito un promemoria didattico con tutte le fasi previste per un licenziamento valido: richiesta dei motivi, giustificato motivo oggettivo o soggettivo, impugnativa. In poche parole: quello che il datore ha scritto via messaggio e cosa ne pensa la legge italiana.
Cosa dice davvero la legge
Quando c’è una situazione complessa, la legge viene in soccorso. Prima di tutto, un licenziamento deve avvenire in forma scritta, su carta o PEC, e deve contenere motivazioni dettagliate e verificabili. Lo richiede esplicitamente l’articolo 2 della Legge 604/1966, secondo cui il licenziamento è inefficace se non è comunicato per iscritto.
In alcune circostanze, i giudici hanno riconosciuto la validità di licenziamenti via WhatsApp o SMS, ma solo se il contenuto è chiaro, tracciabile, proveniente da un numero riconducibile al datore e con motivazioni espresse o rinviate.
Quando il sarcasmo fa da lezione ad aziende e dipendenti
Per quanto WhatsApp sia, in alcuni casi utilizzato come strumento di licenziamento, nello screenshot virale, invece, sarebbe facilmente impugnabile: manca una motivazione concreta, è espresso con tono sarcastico e offensivo, e non garantisce nessuna tutela procedurale al lavoratore. In sintesi: non ha valore.
Il caso messo in scena da Arcella non ha avuto un epilogo in tribunale, ma ha centrato il punto: molti non conoscono i confini tra ciò che si può fare e ciò che invece resta fuori dalla legalità.
Nel tempo dei vocali e delle comunicazioni lampo, è facile dimenticare che il rapporto di lavoro è regolato da norme ben precise. Chi ha un contratto ha dei diritti. E anche dei doveri, certo. Ma non può essere congedato con un “puoi anche andare a vivere in Perù”.
Morale della favola? Se sei un datore di lavoro, meglio pensarci due volte prima di scrivere certe cose su WhatsApp. Perché quel “non finisce mica qui” preso alla leggera potrebbe non finire bene.