Nomadi digitali in Italia | Requisiti ufficiali e reddito minimo per il visto: il pass che apre al lavoro da remoto

Nomade digitale

Nomadi digitali (pexels) - Circuitolavoro

Un visto pensato per chi lavora online e vuole farlo dall’Italia: il decreto del 29 febbraio 2024, pubblicato in Gazzetta Ufficiale, fissa regole chiare per l’ingresso dei professionisti extra-UE che operano da remoto e dispongono di competenze elevate.

L’Italia apre le porte ai nomadi digitali e ai lavoratori da remoto con un quadro normativo finalmente operativo. Il provvedimento definisce chi rientra nella categoria, quali documenti servono e quali condizioni economiche e assicurative occorre dimostrare. Non si tratta di un “visto per tutti”, ma di una corsia dedicata a profili qualificati che svolgono attività con strumenti tecnologici e che possono lavorare senza vincoli di presenza in ufficio.

Secondo la Gazzetta Ufficiale – Decreto 29 febbraio 2024 – l’obiettivo è facilitare l’arrivo di persone in grado di generare valore, rispettando però requisiti rigorosi su reddito, esperienza e legalità. Il passo successivo, una volta ottenuto il visto, è il permesso di soggiorno per lavoro da remoto, con verifiche puntuali sulla reale attività svolta. Il sistema non rientra nelle quote dei flussi: l’accesso non è contingentato, ma subordinato al rispetto di standard precisi e controllabili.

Chi può davvero ottenerlo e cosa dimostrare

La norma si rivolge a cittadini di Paesi non appartenenti all’Unione europea che esercitano un’attività altamente qualificata, in autonomia o per un’impresa anche non residente in Italia, attraverso strumenti che consentono di lavorare da remoto. Il decreto chiarisce che non basta un contratto qualsiasi: occorrono titoli, incarichi o responsabilità che attestino un livello professionale elevato. Le amministrazioni competenti verificano la coerenza del profilo con quanto dichiarato, a tutela del mercato del lavoro e della concorrenza leale.

Accanto alle competenze, serve una base documentale solida. Il decreto richiede un’assicurazione sanitaria valida in Italia per l’intero periodo di permanenza, la disponibilità di un alloggio adeguato e l’assenza di motivi ostativi all’ingresso. È prevista anche la dimostrazione di un’esperienza pregressa di almeno sei mesi nell’attività a distanza o nel settore di riferimento. Secondo il Ministero dell’Interno, queste condizioni permettono di accertare che l’interessato possa effettivamente sostenere la propria permanenza e svolgere il lavoro senza oneri per il sistema pubblico.

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Il reddito minimo richiesto e gli errori da evitare

Il nodo più atteso è il reddito. Il decreto, pubblicato in Gazzetta Ufficiale, stabilisce che il richiedente debba disporre di un reddito annuo lecito non inferiore al triplo del livello minimo previsto per l’esenzione dalla partecipazione alla spesa sanitaria. Non indica una cifra fissa, perché la soglia di riferimento viene aggiornata periodicamente. Per questo, le indicazioni consolari possono riportare importi leggermente diversi nel corso dell’anno. In pratica, il parametro è una formula: tre volte la soglia sanitaria vigente, con possibili maggiorazioni in presenza di coniuge o figli a carico, come avviene nelle prassi amministrative.

Per evitare problemi, è essenziale che la prova del reddito sia chiara e tracciabile: estratti conto, dichiarazioni fiscali, contratti in corso e lettere di incarico aiutano a dimostrare che il requisito è davvero soddisfatto e non solo “sulla carta”. Secondo le linee operative richiamate dal decreto e dalle amministrazioni competenti, conviene inoltre verificare sul sito del consolato competente l’importo aggiornato e le specifiche sui documenti ammissibili. Un altro errore frequente è sottovalutare le tempistiche: dopo l’ingresso con visto, occorre richiedere tempestivamente il permesso di soggiorno per lavoro da remoto presentando la documentazione prevista. La permanenza iniziale è in genere annuale e può essere rinnovata se permangono i requisiti, inclusi il livello di reddito e la copertura assicurativa, sempre nell’alveo delle regole fissate dal Decreto 29 febbraio 2024.