Il cumulo di impieghi per i dipendenti delle pubbliche amministrazioni e degli enti pubblici è di regola vietato, ma non in modo assoluto. Talvolta l’assunzione di incarichi esterni è ammessa e perfettamente legale. E allora, quando il dipendente pubblico può fare un secondo lavoro? Scopriamolo con questo approfondimento.
In Italia, non esiste un divieto generale per i dipendenti privati di svolgere un secondo lavoro. Tuttavia, esistono alcune limitazioni che possono essere applicate dal datore di lavoro.
In particolare, il datore di lavoro può vietare al dipendente di svolgere un secondo lavoro se:
Inoltre, il datore di lavoro può richiedere al dipendente di comunicare l’intenzione di svolgere un secondo lavoro. In caso di comunicazione, il datore di lavoro può valutare la compatibilità del secondo lavoro con il primo lavoro e prendere eventuali provvedimenti.
In particolare, il datore di lavoro può:
In caso di divieto del secondo lavoro, il datore di lavoro deve motivare la decisione. Il dipendente può impugnare il divieto davanti all’autorità giudiziaria.
In Italia, il divieto del secondo lavoro per i dipendenti privati è soggetto a alcune eccezioni.
In particolare, il secondo lavoro è consentito se:
Inoltre, il secondo lavoro è consentito se:
Per richiedere l’autorizzazione all’amministrazione di appartenenza, il dipendente deve presentare una richiesta scritta, che deve indicare:
La richiesta deve essere corredata da:
L’amministrazione di appartenenza ha 30 giorni di tempo per rispondere alla richiesta. In caso di risposta positiva, l’amministrazione rilascia un’autorizzazione scritta. In caso di risposta negativa, l’amministrazione deve motivare la decisione.
La normativa è meno rigida per i dipendenti pubblici in part time, cioè coloro che sono stati assunti a tempo parziale e non superiore al 50% della prestazione lavorativa prevista per il tempo pieno. In questa posizione possono trovarsi diverse categorie di dipendenti pubblici, come i docenti scolastici e universitari a tempo determinato ed il personale sanitario.
Questi soggetti possono svolgere un’attività professionale – quindi anche aprire una partita Iva – se essa risulta compatibile con gli orari di insegnamento o di servizio, e purché non determini in nessun caso un conflitto di interessi con l’impiego pubblico.
Al riguardo una recente circolare del ministero del Lavoro ha precisato che il conflitto di interessi va inteso in senso ampio, e, precisamente, esso ricorre quando «l’ulteriore attività lavorativa, pur non violando il dovere di fedeltà di cui all’articolo 2105 del Codice Civile comporti, anche potenzialmente, interessi in contrasto con quelli del datore di lavoro».
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